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Limitare i danni dell’imposta Patrimoniale

 

Parte II – Edizione di sabato 1 agosto 2020 CRONISTORIA DELLE IMPOSTE PATRIMONIALI IN ITALIA

 

Ricordo che l’imposta patrimoniale è un tributo che appartiene alla categoria delle cosiddette imposte dirette.

A differenza di un’imposta sul reddito, come l’IRPEF, la patrimoniale non colpisce il flusso di ricchezza dei contribuenti relativo a un determinato periodo bensì una disponibilità di ricchezza, cioè il patrimonio, che il contribuente può avere accumulato anche nell’arco di periodi di tempo molto lunghi.

 

Nel 1973, per fronteggiare la grave crisi energetica e contenere la crescita del debito pubblico, in quel momento al 55% del Prodotto Interno Lordo, il governo Andreotti riforma il sistema tributario, e istituisce l’INVIM, l’Imposta sull’incremento di Valore degli Immobili.

Imposta diretta, reale, a carattere prevalentemente patrimoniale, versata in caso di trasferimento della proprietà tra privati, oppure in caso di possesso ultradecennale in capo a società, con aliquota che va da un minimo del 3% fino ad un minimo del 25%, in caso di incrementi di valore raddoppiati.

 

Nel 1992 il governo Amato, al fine di evitare un ulteriore dissesto finanziario e permettere alla lira di restare agganciata al sistema monetario europeo, con il debito pubblico salito al 105,5% del Prodotto Interno Lordo, impone un prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i conti correnti bancari, depositi postali, in essere al 9 luglio 1992.

Inoltre istituisce un’imposta straordinaria sul valore netto di ditte individuali, società ecc., pari al 7,5 per mille.

Ma, non è finita, introduce un’altra patrimoniale straordinaria, questa volta sugli immobili, l’ISI, Imposta Straordinaria Immobiliare, pari al 2 per mille sui valori catastali di fabbricati residenziali o strumentali; l’aliquota viene poi elevata al 3 per mille per i fabbricati diversi dall’abitazione principale. Le eccezioni di incostituzionalità contro quel decreto vengono successivamente respinte dalla Corte Costituzionale.

 

Poi nel 1993, sempre il governo Amato, stabilisce la soppressione dell’INVIM, ma la sostituisce da un’altra analoga, l’Imposta Comunale sugli Immobili, ICI, con aliquote che vanno dal 4 al 7 per mille all’anno. L’ICI viene abolita nel 2008 sulla prima casa dal governo Berlusconi.

 

Nel marzo 2011, sotto l’egida del governo Berlusconi, per limitare la crescita del debito pubblico, salito al 120,1 per cento del Prodotto Interno Lordo, viene introdotta una nuova tassa patrimoniale che colpisce gli immobili, l’IMU, l’Imposta Municipale Unica, che sarebbe dovuta entrare in vigore dal 2014, ma il governo Monti ne anticipa l’entrata al 1 gennaio 2012. Prevede aliquote che vanno dallo 0,46 all’1,06 per mille ad eccezione della prima casa.

 

Per quanto concerne le imposte patrimoniali sui patrimoni finanziari, istituita con il governo Monti e contenuta nel decreto “Salva Italia”, attualmente nel nostro Paese l’imposta sulle attività finanziarie è dovuta nella misura dello 0,2 per cento sul patrimonio investito esistente al 31 dicembre di ogni anno.

 

L’imposta sui conti correnti è applicata in misura fissa pari a 34,20 euro qualora il conto corrente o i libretti di risparmio sono detenuti in Paesi UE o SEE con adeguato scambio d’informazioni. Inoltre, è prevista una forma d’esenzione qualora il saldo contabile del conto non superi i 5.000 euro.

 

In sostanza, la patrimoniale diventa cioè un cattivo rimedio all’incapacità dello Stato di combattere l’evasione fiscale.

 

Fine seconda parte.

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